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Presentazione

Perché è utile una formazione nella conoscenza delle religioni?

La società attuale non è più semplicemente una società pluralista: è diventata multiculturale e multireligiosa. Conoscere le molteplici forme dell’esperienza religiosa, le cui odierne manifestazioni sono il risultato di un complesso processo storico che si è svolto secondo logiche diverse nel tempo e nello spazio, risponde dunque ad un’istanza culturale di primaria importanza, non solo per vivere consapevolmente nella rete delle relazioni civili e politiche, ma anche per gestire i contatti personali negli ambiti di vita quotidiana o per svolgere attività o professioni che coinvolgano i rapporti sociali.

Sempre più di frequente, infatti, l’incontro con chi ha una fede religiosa o una visione spirituale diversa da quella della cultura prevalente avviene negli spazi e nei tempi condivisi del quotidiano, nei quali il comportamento risulta regolato anche da abitudini inconsapevoli, da sensibilità e gusti personali, da tradizioni familiari, dall’appartenenza a gruppi sociali di tipo culturale, professionale, sportivo o ricreativo. In modi inediti, la differenza religiosa e culturale incide sulle pratiche di tutti i giorni, orienta gli stili di vita e definisce le aspettative nei confronti degli altri. È nei luoghi d’incontro, come la strada, gli sportelli aperti al pubblico, il mercato o il cinema che si manifestano, spesso in modo informale, le identità religiose e si fonda la possibilità del dialogo tra prospettive culturali e spirituali diverse.

Ancor più appare importante saper trattare i rapporti tra le diverse credenze religiose o spirituali nell’ambito delle relazioni pubbliche, istituzionali o professionali, considerando il ruolo assunto dalle religioni nel dibattito politico, nell’impegno civile e in generale nelle dinamiche della convivenza comune, dove i vari attori rivendicano il rispetto di valori e codici culturali nuovi ed ‘alieni’ rispetto ai principi condivisi dalla cultura prevalente. Chi riveste ruoli istituzionali che svolgono attività dirette al pubblico o che si occupano di questioni sociali; chi esercita professioni che attengono ai rapporti sociali; chi, a diverso titolo, è chiamato a compiere operazioni di mediazione interculturale, sempre più spesso deve confrontarsi con richieste e problematiche crescenti non soltanto in numero, ma anche in novità e qualità, che richiedono competenze qualificate nel campo della conoscenza delle tradizioni religiose.

Una sintetica illustrazione delle questioni più ricorrenti nei diversi ambiti sociali può essere utile a comprendere la portata del fenomeno interreligioso.

  • Nella pratica sanitaria: cosa può o non può fare il medico se un malato terminale rifiuta gli oppiacei per motivi culturali e religiosi, pur manifestando un’acuta sofferenza e turbando gli altri degenti con i suoi lamenti? Può un medico o un infermiere rifiutarsi per motivi di coscienza di arrestare i macchinari che tengono in vita un paziente in stato vegetativo permanente malgrado l’esistenza di una direttiva anticipata di trattamento? Un paziente può esigere di essere visitato soltanto da un medico del suo stesso sesso per ragioni religiose? Un’azienda sanitaria deve garantire un servizio di circoncisione rituale ai genitori che lo richiedano per i propri figli? E se i genitori richiedono di realizzare in ospedale una mutilazione genitale di lieve entità sulla propria figlia? 
  • Nella comunità scolastica: che cosa possono e devono fare insegnanti e dirigenti scolastici di scuole pubbliche di fronte alla richiesta di rimuovere il crocifisso o di affiggere una sura del Corano nelle aule di studio? È possibile festeggiare il Natale esponendo un presepe nell’atrio della scuola? Il consiglio d’istituto può deliberare la celebrazione di una messa in orario scolastico? Si può consentire lo svolgimento di una preghiera islamica nei locali scolastici? È lecito che considerazioni religiose e attori religiosi intervengano nelle decisioni relative all’educazione sessuale e su questioni di genere nelle scuole pubbliche? 
  • Nelle relazioni familiari: in base a quali criteri il giudice può e deve decidere a quale genitore affidare il minore in sede di divorzio, se entrambi rivendicano il diritto a educare il figlio secondo le proprie diverse concezioni religiose? I genitori possono esigere dalla scuola pubblica che il proprio figlio venga esonerato da un corso obbligatorio di educazione sessuale perché contrario alle proprie convinzioni religiose? Possono esigere che la propria figlia venga esentata da un corso sportivo obbligatorio perché svolto insieme ad alunni di sesso maschile, in opposizione alla loro concezione religiosa e culturale del pudore? 
  • Nell’alimentazione rituale: possono genitori musulmani richiedere e ottenere che la mensa scolastica serva ai loro figli esclusivamente carne macellata halal? Come comportarsi di fronte alle richieste di astensione da particolari cibi e bevande sollevate dagli appartenenti a determinate confessioni religiose in conformità ai precetti religiosi, soprattutto nei contesti pubblici,scolastici, carcerari e ospedalieri? È giusto adeguare le nostre tradizioni culinarie per venire incontro alle esigenze delle nuove comunità immigrate oppure occorre salvaguardarle senza se e senza ma, come sostenuto dall’una e dall’altra fazione nella disputa intorno al “tortello al pollo” che ha infiammato la città di Bologna? Occorre garantire, tutelare e promuovere la certificazione di prodotti kosher e halal prodotti in Italia? 
  • Nell’assistenza spirituale nei luoghi segreganti: la disciplina vigente, che assoggetta ad una richiesta ed una successiva autorizzazione l’assistenza spirituale nei confronti dei fedeli appartenenti a confessioni religiose prive di intesa con lo Stato, riesce a garantire l’effettivo esercizio della libertà religiosa all’interno di strutture segreganti, come caserme, ospedali, carceri e centri di permanenza per i rimpatri? Risulta opportuno istituire “cappellanie” in luoghi considerati “laici” per eccellenza come le università statali? Oppure è meglio creare “stanze del silenzio”, spazi neutrali privi di simboli religiosi, per favorire la preghiera e la riflessione individuale o collettiva? 
  • Nell’edilizia di culto: come si sta evolvendo la nozione stessa di “edificio di culto”, se, per molte confessioni, è sufficiente una stanza, magari condivisa con altri, per la preghiera collettiva? Possono le legislazioni regionali, competenti in materia di governo del territorio, imporre limiti stringenti alla costruzione di nuovi edifici di culto, magari per invocate esigenze di sicurezza? Può, dal canto suo, una chiesa cattolica “sconsacrata”, in concreto sovrabbondante rispetto alle esigenze religiose della popolazione, diventare un ristorante o un pub o magari una moschea? Come regolare la pluralità di interessi che insistono intorno a beni che spesso possono considerarsi culturali oltreché cultuali? Risulta opportuno introdurre un ticket di accesso alle chiese monumentali per esigenze di gestione dei flussi turistici, sacrificando così in parte l’aspetto cultuale, in favore di una fruizione meramente culturale? 
  • Nella pubblica amministrazione: Come si deve comportare l'ufficiale di stato civile cui sia richiesta l'emissione di un documento di identità cui si pretende di apporre una fotografia che ritrae il titolare con un turbante sikh? Può un Sindaco emettere un’ordinanza sindacale che bandisce l’uso dello chador ovvero dei burquini nel circondario comunale? Può il responsabile di una struttura sanitaria pubblica apporre una cartellonistica all'ingresso del nosocomio che vieta l'ingresso a coloro che indossano abiti che occultano integralmente il volto per motivi religiosi? Del pari può un dirigente scolastico consentire agli studenti di portare a scuola il kirpan in ossequio al precetto di fede? 
  • Nel mondo politico: entro quale misura è ammissibile un utilizzo dei simboli religiosi per fini politici e partitici? In che modo i programmi dei partiti sono influenzati da visioni religiose – o, al contrario da visioni laiciste? Fino a che punto è accettabile l’influenza di istituzioni e organizzazioni religiose sul policy making? In che modo si può bilanciare il rispetto per i diritti individuali e quelli – di carattere religioso e culturale - delle comunità? In che modo la religione può influenzare l’orientamento in politica estera di un paese?

  • Nell’ambito del diritto antidiscriminatorio: può un annuncio di lavoro annoverare tra i requisiti delle candidate il “no velo”? Può un’agenzia procacciatrice di modelle escludere le candidate che indossano burqa e chador?

  • Nella repressione dei reati religiosamente motivati: può una condotta penalmente rilevante essere scriminata in quanto motivata dal rispetto di un precetto religioso?È perseguibile per porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere il sikh che ha nella propria disponibilità il kirpan? È sanzionabile una donna che circola sulla pubblica via indossando il burqa? Deve applicarsi l’aggravante dei motivi abbietti e futili alla condotta del capofamiglia che, ritenendosi depositario nei confronti dei figli di particolari poteri correttivi, percuote la figlia che intrattiene una relazione affettiva con un ragazzo di diversa fede? Può essere scriminata la condotta del padre che sottopone la figlia ad una mutilazione genitale lieve? Può essere riconosciuta un’attenuante al genitore che ha imposto al minore un tatuaggio “a cicatrice” per motivi religiosi? È punibile il genitore che rifiuta di mandare i figli a scuola a causa di riserve di tipo religioso-culturale rispetto alla scuola cui questi sono stati assegnati, o circa la ripartizione dei compiti educativi tra famiglia e collettività?

  • Nell’ambito del riconoscimento della protezione internazionale dei migranti: può una migrante accusata di stregoneria nel suo Paese d’origine ottenere lo status di rifugiato per motivi religiosi? Può ottenere la protezione sussidiaria il migrante che abbia violato la Sharia mettendo al mondo un figlio fuori dal matrimonio?

Per gestire efficacemente e consapevolmente i problemi evocati, appare fondamentale l’acquisizione di un sapere interculturale, che includa non soltanto la conoscenza delle norme pertinenti, ma anche gli strumenti concettuali e le tecniche necessari per applicarle in maniera adeguata alle specificità culturali del singolo caso, nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. In particolare, la gestione dei conflitti generati dal pluralismo religioso e culturale esige una conoscenza approfondita degli istituti e dei precetti delle diverse tradizioni religiose, sui quali si fondano le rivendicazioni degli attori sociali. Tale conoscenza non può prescindere dall’adozione di una prospettiva di natura storica, capace di cogliere le specificità e le analogie delle differenti tradizioni religiose in relazione ai contesti socio-politici, economici, filosofici, culturali nei quali esse sono sorte e si sono sviluppate nel corso dei secoli. Essa richiede altresì l’apprendimento di capacità di mediazione e di composizione delle istanze in conflitto: in particolare, lo sviluppo della capacità di individuare i valori soggiacenti alle diverse norme culturali, religiose e statali, per verificarne la corrispondenza e la compatibilità reciproca, e di modellare soluzioni pratiche innovative idonee a garantire ai valori compatibili un riconoscimento e una protezione adeguati.

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Ultimo aggiornamento: 17/02/2022 09:27
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